Enoturismo e Accoglienza: Analisi di Carlo Pietrasanta - Parte 2.
L’obiettivo del Movimento Turismo del Vino Italia è promuovere la cultura del vino attraverso l’enoturismo e la creazione d’infrastrutture e network propedeutici. A che punto è l’enoturismo in Italia? Cosa funziona e cosa no? Perché conviene? Tutte le risposte a queste domande sull’enoturismo e molto altro in questa seconda parte di intervista (la prima la potete trovare QUI) con Carlo Pietrasanta, Presidente del Movimento turismo del Vino Italia.
Intervista a Carlo Pietrasanta, Presidente Movimento turismo Vino: Un’analisi su Enoturismo e Marketing dell’Accoglienza - Seconda Parte from SGA Wine design on Vimeo.
Come definirebbe, o descriverebbe, l’enoturismo?
L’enoturismo è la più grossa opportunità offerta al mondo del vino da 25 anni a questa parte. Si è autogenerata con un cambio epocale di mentalità: un quarto di secolo fa parlare di enoturismo, di visita delle cantine, era quasi un’eresia; oggi non c’è cantina in Italia che non faccia enoturismo.
Qual è la sua storia in Italia?
L’enoturismo nel nostro paese si è sviluppato a partire da uno studio dell’Università Bocconi del 1992, che sottolineava come, nonostante l’elevata richiesta di visitarle, le cantine italiane fossero prevalentemente chiuse. Da allora alcuni produttori, capitanati da Donatella Cinelli Colombini, produttrice di Montalcino, hanno manifestato la volontà di associarsi, cominciando a progettare delle attività legate all’enoturismo. La prima attività che abbiamo inventato è stata “Cantine Aperte”, con la prima edizione del 1993.
Quanto l’enoturismo può fungere da canale di vendita diretta? Ha qualche dato riguardo alle vendite dirette che avvengono grazie all’enoturismo?
Abbiamo cantine che stanno arrivando anche a un fatturato del 50% con la vendita diretta tramite l’enoturismo. La vendita diretta in cantina c’è sempre stata, negli anni ‘70 si vendeva molto vino sfuso. Ai giorni nostri avviene un altro tipo di vendita diretta, in bottiglia, con un margine maggiore.
In particolare, riguardo all’acquisto diretto in cantina: Qual è il valore medio e la media del numero bottiglie acquistate?
La media oscilla tra 3 e 6 bottiglie, secondo le zone e il valore del vino. Parlando di bottiglie importanti la media si attesta su 3 bottiglie; per le bottiglie di fascia media (intorno agli 8 Euro), si può abbozzare una media di 6-12.
Quanto incide questa componente sul fatturato aziendale totale?
Da un minimo del 20% a un massimo del 60%, secondo la tipologia di cantine. Per le cantine piccole le percentuali salgono, per quelle più grosse, che superano le 100.000 bottiglie e hanno un minimo di organizzazione commerciale, le quote si abbassano, ma stanno diventando sempre più importanti.
Foto di Franco Bello
Quanto influisce essere un brand noto?
Influisce specialmente sulla clientela straniera: essere un brand noto o rappresentare una zona famosa, fa arrivare molta più gente con minor fatica e fa aumentare le vendite.
Quali ritiene siano i problemi eventuali in cui i turisti provenienti da paesi lontani possono incorrere per farsi inviare i vini a casa propria? Quali crede che possano essere le soluzioni?
I problemi sono enormi: dopo l’11 settembre 2001, per questioni di sicurezza, non si possono più portare in cabina le bottiglie di vino. Dunque presso le cantine è crollata la vendita di vino ai turisti stranieri che arrivano in aereo. Per via delle accise e delle regolamentazioni UE, per una cantina è complicato spedire del vino a un cliente privato all’interno dell’Unione: si dovrebbe seguire un’iter analogo a quello dell’importazione. Perciò, come Movimento, stiamo realizzando una piattaforma che permetterà di spedire il vino al privato straniero utilizzando il metodo dell’autospedizione: il cliente straniero prenoterà e pagherà direttamente nella nostra cantina la spedizione (quindi non siamo più noi che spediamo come cantina, ma è il visitatore, l’enonauta che si autospedisce il vino). Questo espediente, consentito in tutti i 28 paesi della UE, permetterà all’utente di inviare fino a 90 litri al giorno, pagando delle cifre molto più basse perché ci sarà una convenzione a livello nazionale.
Quanto ritiene siano necessari i canali digitali (app, Internet e social network in primis) per questo tipo di offerta?
Sono fondamentali, ma bisogna saperli usare e gestire per evitare che diventino un boomerang: piuttosto è meglio non averli. Una delle nostre missioni consiste proprio nel cercare di creare consapevolezza tra le cantine e gli altri attori di un territorio (chi fa ospitalità, ristorazione, prodotto tipico) in modo tale che autogestiscano questi nuovi strumenti insieme, abbattendo i costi. Se è plausibile che una piccola azienda non possa permettersi di occupare una persona solo per questa attività, è vero che 5, 6, 7 soggetti (di cui magari solo 2 o 3 appartenenti allo stesso settore: enologia, ristorazione, alberghiero, produzione tipica), mettendosi insieme, possono fare sinergia. Insieme possono imbastire la giusta comunicazione ed evitare che app, piattaforme e quant’altro si trasformino in un’arma a doppio taglio: non dare una risposta in tempi brevi a un enonauta o a chi ha rivolto una critica certe volte diventa un problema.
Quanto è importante sapere gestire in modo integrato questi canali con la comunicazione tradizionale?
È fondamentale: con la comunicazione classica è possibile catturare l’attenzione del target dai 40-45 anni in su, che è già clientela consolidata, con i nuovi metodi di comunicazione si possono invece contattare, coltivare, fidelizzare i Millennials, la generazione dei ventenni, e non solo: anche la persona di 80 anni se è appassionata. La comunicazione digitale oggi ha uno spettro più largo perché ci sono sempre più persone, anche di una certa età, che sono in grado di consultarla.
In quali nazioni ritiene che si stia lavorando bene per la promozione e diffusione dell’enoturismo? Può fare qualche esempio?
L’esempio più eclatante sono i nostri cugini francesi. Da loro c’è solo da imparare, anche se noi italiani siamo più bravi e più brillanti. Solo un paio di esempi recenti: il giorno prima che aprisse la BIT (Borsa Internazionale del Turismo n.d.r.) a Milano, i francesi hanno presentato il nuovo portale Visitfrenchwine.com, fatto dallo stato e dalle aziende, grandi e piccole. Sul sito tutti hanno la stessa visibilità, compaiono nello stesso modo e con la stessa importanza la grande zona di produzione, come può essere la Champagne, e la piccola come può essere il Jura. All’interno della zona sono promosse la grande maison e il piccolo produttore, con la stessa visibilità e con la stessa potenzialità. Poi è logico, la grande maison che può ricevere anche 10 pullman al giorno avrà più visitatori, la piccola azienda meno, ma alla fine i risultati sono utili per tutt’e due.
L’altro esempio è l’inaugurazione in pompa magna a Bordeaux, venti giorni fa, della Cité du Vin, il museo internazionale del vino; tra pubblico e privato sono stati investiti 80 milioni di Euro per realizzare la palazzina a forma di decanter che ospita il museo, un’operazione che ha messo d’accordo i colori politici diversi dello stato centrale, uniti per far sì che dall’anno prossimo questo posto possa ospitare tra i 4 e i 5 milioni di visitatori. Noi avevamo una situazione bellissima in Italia: il Museo del Vino e dell’Olio a Torgiano della famiglia Lungarotti, ma è privato, e l’Enoteca Italiana a Siena, una situazione fantastica che, per motivi politici, è stata chiusa.
Carlo Pietrasanta con Claudio Castellaro
Esiste una normativa per questo settore? Ritiene sia adeguata? Agevola od ostacola lo sviluppo dell’enoturismo?
Esiste la legge sulle Strade del Vino del 1999, ma sarebbe meglio se non esistesse. È composta di 4 articoli, dal ‘99 a oggi non sono stati fatti i regolamenti attuativi. Negli anni, con il passaggio di alcune competenze alle Regioni si è creata confusione, queste istituzioni hanno dato vita alle Strade del Vino e dei Sapori, mischiando il vino con altri prodotti. Nel momento in cui sono finiti i soldi pubblici alcune Strade sono state abbandonate e oggi esistono solo perché indicate da vetusti cartelli stradali.
Hanno fatto eccezione alcune situazioni virtuose, che sono state capaci di non tradire il progetto iniziale di Strada del Vino: questo non vuol dire che ristorazione, alberghiero, prodotto tipico non vengano a loro volta trascinati, anzi. Ma dev’esserci uno solo al comando, dev’essere il vino a dettare le linee guida. Poi, dato che chi viene in cantina deve mangiare, deve dormire, ama comprare i prodotti tipici, ama comprare l’artigianato, ce n’è per tutti.
Ritiene necessario quindi il networking tra tutti gli operatori (turistici, enologici e altri)? Ha qualche esempio?
È fondamentale il networking: un esempio in questo senso è la Strada del Vino della Franciacorta. La Strada è nata autonomamente dal Consorzio; i produttori di vino Franciacorta, soci del Consorzio, pagano una sola quota, onnicomprensiva. Il Consorzio versa il necessario alla Strada per le sue attività. Ecco un sistema che funziona e che porta risultati. Non è che nella Strada Franciacorta non ci siano alberghi e ristoranti ma, torno a ripetere, chi comanda dev’essere uno. In una zona dove non c’è vino, ma c’è una grande produzione di mele, ad esempio nella Val di Non, si potrà creare la Strada delle Mele: ma sarebbe un’operazione priva di significato in giro per il mondo, dove sono diffuse le Strade del Vino, le Wine Route, così note da essere “inventate” anche dove non ci sono perché il vino, con la sua etichetta, è l’immagine di un territorio.
Questo è un esempio italiano. E all’estero?
Le Strade del Vino californiane fanno dei numeri che noi in Italia non possiamo neanche sognare. È un concetto diverso, le cantine che ci sono in California non hanno la fortuna di essere collocate all’interno di strutture come le nostre, ma il loro è un prodotto turistico ed è organizzato come prodotto turistico. In quelle cantine entra anche l’astemio: come dice un mio amico produttore franciacortino, l’importante è che abbia la carta di credito ancora non consumata, così da potergli vendere di tutto, dal vino, che magari regalerà a un amico, al cavatappi, al grembiule. Tutte queste cose in Italia non si possono vendere: noi produttori di vino possiamo vendere solo ed esclusivamente vino.
Qual è la tipologia di turisti in visita? Secondo lei quali sono le classi socio-culturali prevalenti e la loro provenienza?
In questi ultimi due anni c’è stato un aumento di turisti stranieri, anche nelle zone minori. Devo dire che l’Expo sta facendo vedere il suo effetto oggi, a un anno dalla chiusura, perché ha portato turisti un po’ da tutto il mondo e di tutte le tipologie a rivedere e riapprezzare l’Italia. In Italia l’enoturista è mediamente una persona con una buona capacità di spesa e con un’età che va dai 30 ai 60 anni.
Ritiene esistano nuovi trend in questo senso?
Possono essere creati. Oggi la cantina è vista non solo come un luogo dove comprare il vino ma anche come una meta dove rilassarsi. Un trend in crescita è rappresentato dalle visite in cantina durante la vendemmia: si può fare attività ludico-didattica, raccogliere l’uva (magari non troppo a lungo perché è faticoso), addirittura tornare a pigiarla con i piedi. Certo, il produttore deve essere pronto a sacrificare quel quintale d’uva, ma la gente è disposta a pagare, con varie formule, dai 27 ai 30 Euro e poi compra il vino, perché è stata accontentata.
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