Rosé & Rosato: non un vino ma uno stile di vita
“Il vino, dopo l’uomo, è il personaggio più capace di raccontare storie, di lanciare messaggi vasti e antichi, di presentarsi con i suoi documenti d’identità completi”, così parlò Veronelli (citazione da pag. 300 del libro “Luigi Veronelli. La vita è troppo corta per bere vini cattivi” di Gian Arturo Rota e Nichi Stefi).
In questa identità complessa, il colore del vino è il richiamo visivo che affascina e stimola, attrae e incuriosisce.
Il rosa, nelle infinite varianti che vanno dal caldo corallo al dorato, non è il colore di un vino ma di due universi ammalianti: il Rosé e il Rosato.
Con Rosato intendiamo i vini del centro sud, i più famosi sono i salentini, con Rosé parliamo di vini del nord che possono essere fermi o mossi. Vini con doti di freschezza, di immediatezza, uniche. Doti che li rendono non solo piacevoli, anche brillanti compagni di occasioni conviviali; accompagnano abitualmente entrée di pranzi e cene anche importanti e esaltano il gusto di sane colazioni mediterranee.
Sono i rosati che ogni anno traghettano nuovi consumatori al vino: i palati poco educati alla complessità dei vini possono scoprire gradualmente questo universo, cominciando con i rosati che offrono soddisfazioni degustative comprensibili e stimolano la scoperta di sensorialità più articolate educando il palato; evoluzione che si verifica solo se la scelta sarà orientata a vini Rosé di qualità.
Addentriamoci in quella terra spazzata dai venti tra mare e mare, lo Ionio e l’Adriatico, per accedere ad un mondo dove il tempo ha i ritmi lenti delle lunghe estati che regalano uve nobili, zuccherine, come il Negroamaro da cui nasce il Riserva Cerasa delle Cantine Michele Calò e figli. Fernando e Giovanni Calò ci raccontano di come abbiano deciso di accettare una sfida: “il Mjere è il nostro Rosato classico, poi lo scorso anno abbiamo deciso di produrre un Riserva, il Cerasa. La procedura è quella classica a “lacrima”: 100 Q.li circa di uve selezionate Negroamaro nel serbatoio a temperatura controllata, una sosta sulle bucce di 12/15 ore, questo è il tempo giusto per ottenere un colore rosa corallino ed un gusto equilibrato, ricco di sapori. Il peso importante dell’uva fa esplodere i chicchi naturalmente, la parte liquida si posiziona in basso, mentre la parte solida, le bucce, si posiziona in alto (viene chiamata anche vinificazione ad “alzata di cappello”).
Durante la svinatura dei 100 Q.li di uva otteniamo solo 30/35 Q.li di mosto rosato fiore, un prodotto spontaneo senza nessuna pressatura, con un colore meraviglioso, brillante come quando lo mettiamo in bottiglia.
Rosato come il colore del Salento”.
“È stata una sfida” continua Fernando “perché avevamo il nostro mercato consolidato, non sapevamo come avrebbe reagito ad un nuovo prodotto. Abbiamo lavorato molto sull’immagine del prodotto, sull’etichetta, doveva comunicare la novità ma anche offrire un anticipo delle sensazioni che il vino riserva, perciò ha una grafica studiata, quasi classica ma molto personale armoniosa. Il mercato è pronto, ha voglia di novità, di sorprese, noi abbiamo voluto sorprenderlo. Sono 10.000 bottiglie, destinate a chi sappia già degustare un buon Rosato, a chi conosce bene il nostro Mjere. Siamo molto soddisfatti del posizionamento ottenuto e della risposta del mercato”.
“I Rosé sono vini dell’arco alpino, sono meno alcolici, più acidi, molto freschi, molto sapidi, e sono estremamente chiari di colore” così Mattia Vezzola di Costaripa apre a raccontarci dei vini di questa zona eletta, Valtenesi, sulla sponda dannunziana del lago di Garda.
“Il punto più a nord dove si coltivano agrumi, dove ci sono i capperi, gli ulivi, i cedri (la Tassoni è di Salò) che si coltivano in 3 posti nel mondo: il Libano, la Calabria, qui sul lago di Garda, una parte di Mediterraneo a ridosso delle Prealpi”.
A rendere speciale questa terra è il clima “Un clima unico” racconta Mattia con molta padronanza dell’argomento “estremamente temperato, qualità/vocazione che nasce dalle dimensioni del Garda: 370 km2, un cm2 di acqua dà origine a 1.400.000 ettolitri circa di acqua la cui temperatura minima invernale è di 7°”.
In questa terra si è sempre prodotto vino “Il grande passo si fa nel 1896 quando un senatore veneziano, certo Pompeo Gherardi Molmenti, sposa una ricchissima signora di Salò, Amelia Brunati, che porta in dote una splendida villa con 15 ettari che vanno a lago. Lui fa un viaggio a Bordeaux e si innamora di quel vino, assolda 2 enologi e se li porta a Moniga dove il terreno è ghiaioso, giallo argilloso, il clima è mediterraneo, si chiama Moniga ma potrebbe chiamarsi Saint Tropez, pensano: questa è terra di rosé e nel 1896 nasce il primo rosé, la prima etichetta nel 1904”.
“Da allora coltiviamo vitigni esclusivamente italiani: Groppello, Marzemino, Sangiovese e Barbera. Il Groppello è una delle uve più rare del mondo, ce ne sono 500 ettari solo lì, nel 700 era presente anche in Val di Non a Massacara poi, piano piano, si è ritirato e ha trovato il suo ambiente ideale sul lago. Barbera e Sangiovese sono i due vitigni più diffusi in Italia nelle DOC. quindi, il Rosé è un vino tipico italiano”.
“Il nostro rosé è un vino che si può abbinare a tutti i piatti speziati: dove c’è l’acciuga, il cappero, il rosmarino, la salvia, il pomodoro, il basilico, il peperone, in più ha facilità di essere bevuto anche fresco e, normalmente, questo tipo di vino, questo tipo di alimentazione, questo tipo di clima si ha dove la gente è estremamente moderata, quindi, il Rosé non è un vino ma uno stile di vita”.
“Vino di altissima tecnologia, il rosé è di una setosità di una delicatezza, è un cachemire, molto raffinato, bisogna saperlo lavorare, saperlo trattare. Ha bisogno di grande rispetto come materia, al contrario di quello che si pensa del rosé, si crede siano vini “reflui”, di seconda qualità e le aziende li producono perché sono di moda, il rosé è richiesto, incrementa le vendite”.
“Consiglio a tutti i consumatori di accostarsi al rosé degustando solo vini a denominazione, primo tra tutti Valtenesi. Siamo scivolati, per negligenza nostra, verso un basso profilo ma noi, Valtenesi, io in particolare, stiamo facendo grandi sforzi per riportare la prua sommersa di questa nave a navigare cavalcando l’onda. La scelta di produrre rosé di qualità è premiante sia per il produttore che per il consumatore, è in arrivo lo tsunami puzzolente di color rosa, distinguersi ora facendo scelte di alta qualità, investendo risorse e competenze, consente un posizionamento che il mercato italiano e quelli esteri più educati, ripagano ampiamente”.
Laura Gatti dell’azienda Ferghettina ci porta in Franciacorta, terra di bollicine pregiate e ci sorprende dichiarando, senza mezzi termini, di amare il Pinot Nero, di un amore incondizionato, quindi, il loro Rosé - 100% Pinot Nero - ne è la sublimazione.
“Tutt’altro che facile, tutt’altro che pensato per chi vuole una cosa leggera e poco impegnativa” così esordisce Laura, una premessa che ci inchioda qui, ad ascoltarla, in attesa che risponda alla nostra silente domanda: perché? “Per valorizzare questa tipologia: il nostro disciplinare prevede un minimo 25% Pinot Nero, volendo uno potrebbe fare 25% Pinot Nero e 75% Chardonnay. Quando abbiamo deciso di produrre un rosé volevamo che fosse una cosa molto diversa, perché altrimenti non aveva senso produrlo. Nel tempo siamo passati da poche bottiglie ad un numero sempre maggiore, mai tantissime, oggi sono 30.000, in funzione della disponibilità di Pinot Nero, per mantenere l’identità in purezza e perché l’obiettivo era unire la struttura, la forza, l’aspetto varietale di una bacca rossa con l’eleganza di una bollicina; un nettare gradevole, bevibile ma con una personalità abbastanza decisa.”
La mente non può non rincorrere uno champagne, il Cuvée Rosé Laurent Perrier anche lui 100% Pinot Nero, lo champagne Rosé per antonomasia, Laura sorride compiaciuta a questa comparazione e chiarisce subito che i due prodotti hanno “vocazioni” diverse.
Perché tutt’altro che facile? “È stato un po’ più difficile all’inizio, sul mercato si trovano rosé più morbidi, più accattivanti, fatti per non creare pensieri. Spiegare, far capire la nostra idea di prodotto, abbiamo dovuto essere strategici, precisi, nella comunicazione, nell’immagine del prodotto. Adesso ce lo chiedono, perché è un prodotto diverso, la degustazione premia.”
Il futuro? “In una dimensione di nicchia ha trovato molto bene il suo spazio. È un vino che non solo accompagna, esalta piatti di pesce, carne come culatello o crudità, filetti scottati dal gusto più deciso. Abbiamo voluto che il nostro rosé fosse, a tutti gli effetti, molto varietale, che manifestasse queste note di frutti di bosco, di lamponi, di ciliegie sotto spirito, molto legate alla varietà, che fosse persistente, corposo senza perdere di vista una delle caratteristiche delle bollicine, la bevibilità. Altri produttori cercano di fare questo percorso, noi abbiamo già creato e posizionato un prodotto unico: ha la freschezza acidica delle bollicine allo stesso tempo regge senza problemi un pasto strutturato … stiamo cercando di farlo sempre più deciso, come note. L’attenzione al dettaglio, nel definire l’immagine de prodotto, l’etichetta e la comunicazione, ci consentono di patrimonializzare come valore tangibile il presente e il futuro di questo Rosé.”
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