Quando le idee si incontrano e si accoppiano
Viviana Varese è astemia, Enrico Bartolini è un discreto bevitore, Matteo Baronetto è un pragmatico degustatore.
Ecco, questa la sintesi che ha portato la mia mente ad effettuare un volo raso su alcuni concetti che poco hanno a che fare con la cucina, molto con l’estetica. Estetica strutturale, l’estetica di un gioco perfetto, un equilibrio fantastico, come i fiocchi di neve: non ce n’è uno uguale all’altro.
“Quando le idee fanno sesso” il concetto con cui Matt Ridley ha spiegato il valore dello scambio nella generazione di intelligenza collettiva o intelligenza sistemica come la definisce Peter Senge: le persone mantengono la propria diversità, sono soggetti che si coordinano in base a un pensiero comune emergente dalle loro interazioni che estendono le loro capacità, influiscono sugli interessi, sui comportamenti, senza omogeneizzarli, motivando l’emergere di una forma di complicità.
Torniamo in cucina, parlando con questi chef della complicità tra cibo e vino, tra loro e i sommeliers, tra l’estetica del vino e l’estetica del cibo, sono emersi due valori comuni: condivisione e libertà.
Nella foto, una creazione di Viviana Varese
La libertà sembra essere il manifesto di Viviana Varese e Sandra Ciciriello, sua socia e sommelier, un valore molto femminile e un po’ obbligatorio visto che Viviana non degusta vino. Sandra decide, sceglie la sua cantina e, in questa scelta, hanno molta importanza sia il passato che il presente: Sandra era pescivendola ha insegnato l’arte di conoscere, amare e scegliere il pesce a Viviana e, di questo ingrediente principe della cucina di “Alice”, conosce ogni sfumatura degustativa. Ciò le consente di creare scenari da “tavola” nella sua mente, scenari costruiti sul gusto, sulle intuizioni e sulla storia dei singoli vini. Un quadro, dove l’estetica è manifesta nella sua più sottile e articolata rappresentazione: il cibo.
Viviana inventa, crea, in assoluta libertà con la consapevolezza, la certezza, che i vini proposti da Sandra, con il suo stile molto personale, esalteranno le sue creazioni. Ricordiamo tutti il “panino Bruciato”, brutto anatroccolo di Viviana, da cui nasce un’esperienza degustativa unica, un viaggio nel “paese delle meraviglie” di Alice, accompagnati dalle note sempre diverse di vini scelti con estrema padronanza da Sandra. In tavola, solo in tavola, avviene la magia dell’incontro.
Come poteva definire questo connubio Viviana? Vincente.
Enrico Bartolini riconosce il grande potere comunicativo dell’estetica in tavola, l’anima dei contenuti è accessibile dopo la scelta estetica. Ama sorprendere con misura il suo ospite con qualcosa di non completamente sconosciuto perché lasci traccia, crei un solco di ricordo nella mente di chi degusta. In questo abile lavoro di sensazioni deve tenere conto di consistenze tecniche o istintive, di profumi e sapori, di suoni interni ed esterni, di fattori che condizionano e modificano l’approccio con la tavola. Enrico è un artista appassionato, la sua passione si allarga al vino. “Io collaboro con Pino Savoia (direttore di sala amante del vino) e Giusy Romano sommelier. Essendo un discreto bevitore e attento appassionato, spesso mi lancio in suggerimenti e dritte. Mi rendo conto di essere molto pretenzioso. L’abilità di selezionare e proporre il vino “agli altri” sta proprio nel capire i desideri altrui ed essere convincenti con concretezza gustativa. Io ritrovo queste caratteristiche nella squadra che mi aiuta a condurre l’attività”.
Estetica del cibo ed estetica del vino sono affinità vincenti, pur essendo soggettivi i concetti di bello e buono, Enrico non sopporta le cose cattive e brutte.
Nella foto, una creazione di Matteo Baronetto
Da un attento, creativo, fantasioso chef di Cracco non stupisce questa pacata dimensione pragmatica che ne distingue lo stile. Matteo si confronta quotidianamente con Alberto Piras, un sommelier preparato, propenso a studiare, a rinnovarsi, curioso. Ne offre questa definizione e la loro condivisione è un fatto di “naso”; il loro è un lavoro che si assomiglia, sostenuto dalla continua ricerca e scoperta, a naso capiscono cosa può assomigliarsi, cosa si sposa bene per natura e non è detto che “chi si assomiglia si piglia”.
La cucina è un “insieme” di prodotti, il vino da accostare è motivato da due filosofie diverse: un vino per ogni portata o 2 soli vini da abbinare a gruppi di portate. Matteo e Alberto perseguono quest’ultima; le scelte nascono da un percorso molto complementare, un interscambio di idee e condivisione di obiettivi. È una forma di collaborazione che genera entusiasmo, vivono un fermento evolutivo proprio consapevoli del cambiamento: non si beve per bere, il vino è in funzione del cibo, il cibo esalta il vino, l’ accoppiamento attribuisce un carattere unico alla tavola.
Per cultura, qui da Cracco, si persegue la strada della qualità delle materie prime che possono anche penalizzare l’estetica del piatto, i prodotti naturali, per esempio, hanno colori più modesti, ma l’estetica qui è fatta da una molteplicità di fattori e valori che sono visivamente rappresentati da oggetti e forme ma devono essere confermati da contenuti e gusto.
Tutti gli chef concordano, in tavola, il vino ha un ruolo fondamentale, come quando si apre lo scenario di un’opera: tutti in silenzio, col fiato sospeso pronti ad essere emozionati dalla prima entrata in scena. Gesti e immagini di questi primi attimi apriranno o chiuderanno la ricezione degli spettatori, basterebbe una nota stonata, una bottiglia “non bella” per alterare gli equilibri e disperdere la magia di complicità affinate con maestria.
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