14 / 05 / 2015

Emilio Pedron: fedeli a noi stessi, senza stereotipi.

Intervista a Emilio Pedron: fedeli a noi stessi, senza stereotipi from SGA Wine design on Vimeo.

Amministratore delegato di Bertani Domains, Emilio Pedron è nato a Cles, in Val di Non, nel 1945. Dopo aver conseguito il diploma di enotecnico presso l’Istituto Agrario di S. Michele all’Adige, è passato dal Trentino alla Valtellina, dove ha ricoperto il ruolo di direttore presso la Cantina Nino Negri. La sua carriera è proseguita durante gli anni ‘80 in Veneto presso le Cantine Lamberti e poi presso il Gruppo Italiano Vini, di cui è diventato AD nel 1996, mantenendo la carica fino al 2010. Dal 2003 al 2009, Pedron è stato presidente del Consorzio di Tutela dei Vini Valpolicella, dove ha attivamente lavorato per l’ottenimento della Docg per l’Amarone.

Bertani secco
Special edition

Dott. Pedron, com’è cominciato il suo percorso nel mondo del vino?

Vivo in questo mondo praticamente da sempre: mio padre aveva una piccola cantina nel Trentino, per cui ho respirato la vigna e il vino fin dalla nascita. La mia crescita professionale, che mi ha portato in varie regioni d’Italia, è stata anche una crescita qualitativa: partendo da una piccola cantina sono arrivato a dirigere un gruppo importante, forse il più importante gruppo di cantine italiane.

In base alla sua esperienza, com’è cambiata nel tempo la percezione dei vini prodotti dall’azienda Bertani da parte dei consumatori, e come si è evoluta la loro comunicazione?

Ritengo che Bertani sia un caso veramente eccezionale e atipico: è un marchio nato all’insegna della qualità, con uno stile particolare e riconoscibile che tendenzialmente si è mantenuto. Non solo l’azienda è stata in grado di mantenerlo: abbiamo dei consumatori che riconoscono e vogliono questo stile. Questo è il nostro grande valore e, se vogliamo, anche il nostro piccolo handicap: siamo talmente connotati presso i nostri estimatori che riusciamo con fatica a trovarne di nuovi tra i più giovani. L’attaccamento e la fedeltà dei nostri consumatori resta comunque uno dei nostri più grandi vantaggi: guai se cambiamo.

Bertani amarone
Special edition

In una recente intervista, Lei ha criticato l’eccessiva importanza che i produttori danno al prezzo come leva di marketing; crede che la comunicazione e il packaging del vino siano caratteristiche fondamentali per promuovere i valori e i significati impliciti del prodotto? La vestizione di un vino può influenzare la percezione della sua qualità?

Io ritengo che il vino italiano abbia una storia abbastanza breve sul mercato mondiale, essendo di recente introduzione in rapporto alla secolare presenza di quello francese. Perciò contiamo su una tradizione, una storia e una capacità di stare sui mercati meno sofisticate. È per questo motivo che molti produttori sanno usare solo il prezzo come elemento di competizione; ma è una leva di marketing molto difficile, molto pericolosa, perché comunque tendenzialmente genera una gara al ribasso. Il prezzo medio del vino italiano venduto all’estero è inferiore alla metà di quello del vino francese, e questo la dice lunga.
Dovremmo imparare, invece, a distinguerci, e fare concorrenza sul nostro valore aggiunto, non sulla diminuzione del prezzo. Fra gli elementi su cui puntare per creare valore aggiunto, oltre alla qualità insita del prodotto, deve esserci sicuramente la capacità di usare la comunicazione in maniera moderna e articolata.

Bertani Villa Novare
Packaging design

Quali sono oggi per Bertani i mercati più interessanti, e per quali vini?

Proprio in base alle caratteristiche dell’intera produzione aziendale, i mercati più interessanti per il marchio sono i mercati più maturi: l’Italia, gli Stati Uniti, il Canada, l’Inghilterra, la Germania. E poi moltissimi altri mercati più recenti, come il Giappone, la Russia, i paesi dell’ex Unione Sovietica.
In ogni caso, ovunque nel mondo, noi restiamo ancorati a un consumatore conoscitore del vino ed estimatore del nostro stile, capace di valutare la nostra qualità. Pertanto dobbiamo lavorare molto per mantenere questa nostra immagine e non tradire mai il consumatore attuale.

Considerando la sua importante opera svolta per il Consorzio Valpolicella, quali sono gli strumenti che un territorio può utilizzare per promuovere se stesso e come le diverse aziende possono fare sistema, per competere sui mercati internazionali?

Questa è una questione di grande interesse; “Valpolicella” è un marchio collettivo, un marchio che appartiene a molte persone e a un vasto territorio. In generale, la difficoltà di gestione dei marchi collettivi sta nel dover tenere conto del comportamento di tante persone e di tante aziende.
Io ritengo che per portare avanti la valorizzazione dei marchi collettivi, e quindi anche del Valpolicella, siano due gli elementi chiave: uno è mantenere la bellezza del territorio, custodirne i valori storici e le tradizioni, e trasmetterne la qualità nel suo insieme, non solo relativamente alla produzione del vino, ma anche rispetto all’intera produzione agricola, all’offerta turistica, all’ospitalità. L’altro elemento chiave è il comportamento dei produttori e di tutti gli attori coinvolti nella produzione, in questo caso del Valpolicella. Un comportamento che dovrebbe essere il più possibile coeso e mirato a obiettivi comuni. Questa è la cosa più difficile, perché spesso i produttori sono molto diversi tra loro: grandi, piccoli, con una lunga storia o esordienti. Ognuno la pensa in modo diverso e si comporta in modo diverso. Questo è il grande distinguo fra il territorio italiano e il territorio francese: contrariamente a noi, che siamo molto più individualisti, in Francia tutti sono abituati a perseguire le stesse qualità, gli stessi obiettivi.
Il territorio del Valpolicella e dell’Amarone ha rappresentato negli ultimi vent’anni un caso di grande successo, e quindi oggi è forse più minacciato di altri, perché proprio dal successo deriva ancora più autonomia di comportamento fra gli operatori vitivinicoli.

Bertani valpolicella
Packaging design

Come dovrebbe cambiare, a suo parere, la comunicazione del vino in rapporto ai mercati, tenendo conto delle loro profonde diversità?

Io credo che chi vuole stare al passo, oggi, debba sviluppare il proprio saper fare in due filoni principali. Uno è il prodotto, che deve essere innovativo e allo stesso tempo capace di rappresentare fedelmente il territorio. L’altro è la conoscenza dei mercati. Spesso gli operatori vinicoli si dedicano solo all’uno o all’altro aspetto, mentre mettere insieme questi due elementi rappresenta, secondo me, il vero fattore di successo.
Dobbiamo saper innovare i nostri prodotti, mantenendone sempre l’aderenza alle caratteristiche del territorio in cui nascono e valorizzandone le radici, che spesso sono veramente antiche. D’altra parte dobbiamo conoscere i mercati a cui ci rivolgiamo: prima di tutto la distribuzione, ma anche le abitudini di consumo. Infine, molti sostengono erroneamente che dobbiamo produrre per il mercato. È sbagliato, perché nel nostro caso dovremmo adattare il nostro vino tipico al mercato cui ci rivolgiamo, e così facendo perderemmo la nostra capacità distintiva, i tratti che caratterizzano i prodotti italiani di qualità nel loro insieme. Tuttavia sarebbe altrettanto sbagliato produrre il nostro vino, dal Valpolicella all’Amarone, senza conoscere il consumatore o il mercato cui facciamo riferimento. Mettendo insieme questi due aspetti possiamo sviluppare nel modo più consono al prodotto e al mercato tutti gli elementi di marketing: il posizionamento di prezzo, la confezione e la presentazione del prodotto, la comunicazione.
Non dimentichiamoci che oggi, dal punto di vista della comunicazione, è basilare il comportamento del produttore. Con l’avvento di Internet e delle nuove tecnologie, i nuovi consumatori spesso conoscono i vini leggendone la storia online, invece che degustandoli. Allora la capacità del produttore di presentare se stesso, di raccontare una storia e di essere credibile, diventa fondamentale quanto avere un prodotto di qualità da poter far assaggiare.

Lei ha sempre avuto una visione molto ampia del mondo del vino italiano, prima con Gruppo Italiano Vini e ora con Bertani Domaines. Quali crede che siano i migliori strumenti per affrontare la situazione attuale e gli scenari che potrebbero presentarsi in futuro?

Oggi dobbiamo essere capaci di innovare e di rinnovarci all’interno delle nostre tradizioni. Mai tradire le tradizioni, mai tradire il territorio: dobbiamo rimanere fedeli a noi stessi. Però, all’interno della nostra tradizione, della nostra storia e della nostra cultura vitivinicola, dobbiamo anche poter dire e fare cose nuove. Credo che il mondo del vino di qualità abbia ormai maturato il suo modo di presentarsi e di raccontarsi e abbia bisogno di novità.
Il vino di qualità, in Italia, è nato venti, trent’anni fa; da allora il nostro racconto della vigna e della cantina è diventato quasi uno stereotipo comune, tutti diciamo le stesse cose. Non possiamo continuamente parlare di tante viti per ettaro, bassa produzione per ceppo, pressatura soffice, lieviti indigeni, ormai storielle ripetitive. C’è bisogno di novità, soprattutto c’è bisogno che ci rivolgiamo al nuovo consumatore con un linguaggio diverso, degli aggettivi diversi, per raccontare le nostre storie e le qualità del nostro vino. È necessario capire che ci rivolgiamo a consumatori nuovi e più giovani d’età, che quindi hanno una percezione diversa dei valori rispetto a quanto avveniva in passato.


Special edition

 

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