Comunicare il vino: la visione globale di Giovanni Minetti.
Intervista a Giovanni Minetti: comunicare il vino from SGA Wine design on Vimeo.
Intervista a Giovanni Minetti, dottore agronomo specializzato in viticoltura ed enologia presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Torino, ha iniziato la propria carriera come tecnico agricolo presso la Comunità montana Alta Langa. Dal 1979 ha lavorato come funzionario e poi dirigente presso la Regione Piemonte, all’assessorato Agricoltura e Foreste; dal 1992 al 1996, sempre per la Regione, ha ricoperto il ruolo di responsabile del comparto vitivinicolo. Dal 1982 al 1996 è stato direttore dell’Enoteca Regionale del Barolo. Poi per 17 anni direttore generale della storica casa vitivinicola Fontanafredda, in Serralunga d’Alba. Minetti è stato nominato presidente del Consorzio di Tutela del Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Roero il 15 gennaio 2001, restando in carica per sei anni. Dopo la creazione e il lancio del progetto di internazionalizzazione “Nuovimondi” per l’associazione di produttori Vignaioli Piemontesi, è dal settembre 2014 amministratore delegato di Terre Miroglio, società che raggruppa la storica Tenuta Carretta, nell’area di produzione del Roero; l’azienda Malgrà, a Mombaruzzo, fedele interprete dei vini classici del Monferrato e la Edoardo Miroglio Wine-cellar, struttura produttiva che vanta oltre 150 ettari di vigneto in Tracia: un territorio antico che conta più di 5.000 vendemmie.
Brand design
Quali sono state le tappe fondamentali del tuo percorso professionale?
Dopo il diploma di maturità classica, la laurea in Scienze Agrarie e la specializzazione in Viticoltura ed Enologia, la prima tappa fondamentale dal punto di vista professionale è stata l’aver vinto il concorso ed essere entrato nell’ambito della Regione Piemonte, prima come esperto e poi come dirigente all’Assessorato all’Agricoltura. La mia prima sede di lavoro è stata Cuneo, dopo pochi mesi sono stato trasferito ad Alba, in trincea, a contatto con i viticoltori, con i produttori: questo mi ha consentito di acquisire un’esperienza molto significativa di quello che era il mondo della vite e del vino nel Piemonte. Pochi anni dopo sono stato chiamato, in qualità di esperto della Regione Piemonte, ad occuparmi dell’Enoteca Regionale del Barolo, che ha sede nel Castello di Barolo: un’esperienza di vita, culturale e tecnica allo stesso tempo, che mi ha consentito di capire come fosse articolato il mondo del Barolo dalla parte dei produttori. Questa conoscenza è andata ancora più approfondendosi quando nel 1996 sono stato chiamato a ricoprire il ruolo di direttore generale di un’azienda come Fontanafredda, che ha costruito e rappresentato la storia del Barolo nel corso degli ultimi 150 anni. A questi passaggi fondamentali si sono alternate altre significative esperienze come giornalista e la conoscenza di Gino Veronelli, che mi ha consentito di capire l’importanza della critica nel mondo del vino e l’importanza dell’immagine dell’azienda di fronte al mercato. Queste pietre miliari segnano quello che è stato un percorso interessante, che sta proseguendo, durante il quale ho maturato una visione completa del vino dal punto di vista tecnico e legislativo, dal punto di vista della produzione, del mercato, del marketing, del commercio.
Packaging originale linea Le Vigne
Quali sono le differenze fra il modo di promuovere e comunicare il vino ieri, agli inizi della tua esperienza, e oggi?
Fino agli anni ‘80 era difficile trovare vino di grande qualità. Erano poche le aziende che puntavano alla qualità del prodotto, e solo pochissime si occupavano anche di come esso veniva presentato. Attualmente la situazione è completamente diversa, la qualità è diventata un prerequisito irrinunciabile, mentre a fare la differenza sono altri valori: il modo di presentare il vino, la vestizione, la scelta della bottiglia, il tappo, e tutto quanto contribuisce a costituire l’immagine del prodotto. Questo è il cambiamento più importante a cui si è assistito nel corso di questi ultimi 20 anni. Nel frattempo sono mutati anche i canali della comunicazione, i rapporti con la stampa, con il cliente stesso e con l’intermediario (agente, grossista, lo stesso ristoratore), che forse negli anni ‘80 era una figura più forte. Oggi il consumatore, favorito dai media e da Internet, cerca di by-passare questo canale, contattando direttamente il produttore. È chiaro che questo rapporto sempre più diretto apre degli interrogativi sulla funzione del trade: io sono convinto che dovrà evolversi nella direzione di un maggiore servizio al consumatore. Questa è la scommessa di oggi.
Packaging originale La Lepre
In riferimento a questo nuovo modo di comunicare al pubblico, esistono delle differenze, ancora oggi, fra le modalità adottate in ambito istituzionale e in quello privato?
A mio modo di vedere, il compito dell’istituzione deve essere quello di fare da catalizzatore tra la produzione e il mercato. Il ruolo che deve essere interpretato da un lato dall’ente pubblico, e dall’altro dall’ente sovra-aziendale (quindi le associazioni di tutela che si riconoscono nei consorzi), deve essere quello di facilitatore: l’istituzione dovrebbe mettere insieme le imprese e portarle a contatto col mercato, creando nello stesso tempo delle situazioni che invoglino il mercato ad incontrare le imprese.
Restyling Papagena
Barolo: quali sono gli obiettivi e i contenuti che verranno messi a fuoco in futuro per quanto riguarda questo vino e questo territorio?
Il Barolo è un vino bandiera, simbolo indiscusso che ha trainato la crescita del proprio territorio. Resta aperta la questione dell’evoluzione della sua denominazione, anche se da questo punto di vista abbiamo tutto sommato già raggiunto una tappa significativa: dopo qualche decina d’anni di discussioni siamo riusciti a delimitare e identificare sul territorio le menzioni geografiche aggiuntive. Siamo riusciti a mappare il territorio d’origine del Barolo, dando un nome a ogni micro-area (i cosiddetti “cru”, o sottozone) e ponendo di fatto fine a una serie di rivendicazioni in etichetta in qualche caso veritiere, in altri casi probabilmente fasulle. Si tratta di un segnale preciso sia per il mercato che per la produzione: oggi ognuno può lavorare per valorizzare una serie ben definita di denominazioni di secondo livello nel mondo del Barolo. Ora la sfida passa al mercato, che come sempre farà giustizia: su 172 menzioni geografiche aggiuntive probabilmente ne riconoscerà una quarantina, mentre le altre saranno dimenticate. Però l’importante è che siano state definite e delimitate, in modo tale che d’ora in poi la situazione del Barolo, come quella del Barbaresco, sia ben chiara e non più modificabile.
Packaging originale Barolo Riserva
Si parla di un nuovo progetto che prevede la creazione e il lancio di un nuovo marchio e la messa a punto di una strategia commerciale declinata soprattutto per il mercato estero, che interesserà alcune delle realtà più dinamiche del mondo Vignaioli Piemontesi. Puoi raccontarci di cosa si tratta?
È un progetto molto ambizioso, che riguarda soprattutto un’area del Piemonte (non solo l’area del Barolo) e ha lo scopo di unire sotto un marchio commerciale la produzione di alcune cantine cooperative e di alcune aziende agricole. Si tratta di partire dal vigneto, impartendo dei protocolli di vinificazione particolari, per ottenere un duplice risultato: innanzitutto una produzione qualitativamente superiore, e poi un sostegno concreto al mondo della cooperazione. Questi protocolli, ora in fase di elaborazione, saranno inizialmente destinati a una produzione limitata di bottiglie, ma abbiamo l’ambizione di pensare e di credere che verranno estesi a livello generale, in modo tale che tutte le aziende li facciano propri per produrre qualità. I protocolli in vigneto sono già una realtà, che negli ultimi anni si sta diffondendo in modo abbastanza importante; in cantina c’è ancora molto da migliorare, ma esistono già delle produzioni d’eccellenza ancora abbastanza nascoste, non conosciute dal consumatore. Uno degli scopi di questo marchio è proprio quello di portarle in evidenza e cercare per loro un mercato che sia in grado di riconoscere la qualità e remunerarla.
Packaging originale Moncucco
Quali sono i mercati più interessanti da raggiungere e per quali vini?
Il mercato che in questo momento sta dimostrando la maggiore vivacità è la Cina: qui le prospettive di crescita nei prossimi 10 anni sono enormi. È un mercato abbastanza sorprendente perché la Cina sostanzialmente non è un consumatore di vino: il vino in quest’area è ancora abbastanza sconosciuto, scelto soltanto per occasioni particolari. Per quanto riguarda il vino piemontese, la Cina ha almeno tre grossi interessi: il Barolo, vino celebre e dalla rinomata qualità, il Barbera (sia d’Alba che d’Asti), e i vini dolci (Moscato d’Asti e Brachetto d’Acqui), che si sposano magnificamente con la cucina della costa orientale. Barbera, Nebbiolo e Barolo sono invece preferiti nell’interno, perché si abbinano in modo straordinario alle caratteristiche di una cucina che privilegia sapori abbastanza forti. C’è un altro elemento particolare che connota la Cina come mercato sicuramente interessante, ed è il tannino: il tannino del Barolo, del Nebbiolo, del Dolcetto, è molto simile al tannino del tè. Quest’affinità culturale sta creando delle situazioni assolutamente inattese, e ci stiamo accorgendo che i cinesi si trovano “a casa” nel bere il vino, molto più di quanto avremmo potuto immaginare. La straordinaria potenzialità della Cina non ci deve però far dimenticare i paesi che sono tradizionali mercati dei nostri prodotti, con particolare attenzione al Nord Europa, aperto a tutte le proposte del Piemonte: dai vini più cari ai vini più economici, dai vini rossi ai vini bianchi, dai vini dolci agli spumanti dolci. La nota dolente, per quanto riguarda il successo del nostro vino nel mondo, è lo spumante secco: purtroppo non riusciamo a far decollare uno standard italiano, e questo continua a creare parecchi ostacoli al mercato del Metodo Classico, che globalmente è minimo e molto difficile.
Packaging originale Moscato d’Asti e Le Fronde
In rapporto a questi mercati e alla loro grande diversità, la comunicazione cambia? E se cambia, in che modo?
La Cina ha delle preferenze molto chiare: sono ammessi alcuni colori e non altri; sono apprezzate le bottiglie che richiamano lo stile e l’eleganza italiani, ma nello stesso tempo piacciono quelle decorate con abbondanza di oro e punte di rosso (il vino in Cina è soprattutto un oggetto da regalo: più è ricca la bottiglia, più è alta la percezione del suo valore). Chi deve disegnare un’etichetta per la Cina si trova ad affrontare una sfida particolare, che richiede la conciliazione di elementi tra loro contrastanti. In altre zone del mondo è tutto più sfumato; normalmente sul mercato americano, scandinavo, tedesco, inglese, che rimangono i nostri interlocutori principali, vengono accettate l’immagine e la vestizione delle bottiglie proposte anche sul mercato italiano. Il Sud America resta invece un mercato abbastanza chiuso, a parte qualche breccia in Brasile: i nostri vini sono considerati troppo cari, e subiscono la concorrenza dei vini argentini, cileni e degli stessi vini brasiliani, che hanno prezzi molto bassi. È vero che il vino italiano ha dalla sua un’immagine unica: ormai il vino si vende sempre più come espressione territoriale e culturale, quindi come elemento che caratterizza uno stile di vita. È questo che per adesso ci consente di stare sul mercato nonostante i nostri prezzi non siano concorrenziali; d’altra parte, se accettassimo di sostenere una sfida basata soltanto sul prezzo, noi saremmo sempre perdenti perché il sud del mondo produce a costi dieci volte inferiori. Al contrario, ci stiamo imponendo e stiamo consolidando i nostri mercati di riferimento proprio grazie al fatto che siamo italiani, che siamo piemontesi, che veniamo dalle Langhe, e quindi siamo capaci di creare attorno alla bottiglia un alone che è rappresentato dal territorio e dal contesto culturale in cui i vini vengono prodotti. Io credo molto nell’incoming, credo molto nell’incrementarsi del fenomeno del turismo del vino. Il consumatore ormai non si fida più soltanto di quello che legge, o di quello che vede attraverso i media: vuole rendersi conto di persona, incontrare il produttore, parlargli, capire come vive, capire come lavora, capire il suo prodotto, farselo spiegare. Questo elemento fondamentale, a livello personale, mi ha convinto a fare un investimento in una rivista cartacea e online chiamata Wine Pass, che vuole porsi proprio come tramite per avvicinare il produttore al turista e al consumatore. Credo che questa sia la vera sfida oggi: in un’epoca dove tutto è digitale, il reale acquista un fascino nuovo e mostra la via per un modello di sviluppo che dovremmo assumere nel territorio delle Langhe e del Roero, ma anche in altri territori italiani. È imprescindibile, perché i costi per portare in giro per il mondo 3 o 4 bottiglie sono ormai diventati altissimi: bisogna quindi ragionare e attrezzarsi per un modo diverso di proporre i nostri prodotti.
Packaging originale Coste Rubín
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