SGA wine strategy: la comunicazione del vino oltre l’etichetta, una consulenza globale.
Tratto dall’articolo di Lorenzo Capitani: “Comunicare il vino”, pubblicato su Print Buyer, Aprile 2016
Partiamo dal fatto che il vino non ha bisogno di essere fatto conoscere in sé, tutti sanno cosa sia il vino e inoltre non c’è ricerca e innovazione come, per citare l’esempio più estremo, nel settore dell’high tech. Il vino, anzi, richiama valori come la tradizione, il fare le cose ‘per bene’, ‘come una volta’ (anche se, in realtà, anche nell’agroalimentare le novità tecnologiche ci sono, eccome…).
SGA wine strategy: oltre l’etichetta, una consulenza globale
SGA wine design lancia a Vinitaly 2016 il suo nuovo servizio di consulenza per aziende vinicole SGA Wine Strategy: si tratta di una formalizzazione di quei servizi di consulenza di marketing già offerti dall’azienda (analisi strategica per definire prezzo, canali distributivi, posizionamento nel mercato…), che da oggi si ampliano e si dirigono anche nella direzione della comunicazione temporary (web, social, eventi, temporary store…). L’obiettivo è sempre lo stesso: individuare il valore di unicità dell’azienda e dei suoi prodotti e definire una strategia comune che, attraverso l’utilizzo dei diversi media, veicoli e promuova la percezione di questo valore in un progetto globale.
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Parola d’ordine: territorio
Chi si occupa di design e comunicazione legata al vino non ha dubbi: dal territorio. «Bisogna prima di tutto conoscere bene i territori, le cantine, le famiglie» sostengono Sara Mutti e Giacomo Bersanetti, dello studio SGA Wine Design di Bergamo. «Individuare i caratteri specifici di ognuna per distinguerla dai competitors. Vestire un vino vuol dire vestire una famiglia, entrare in empatia con delle persone, per trasformare il loro carattere in segno grafico. È necessario uno studio approfondito del vissuto della specifica cantina, bisogna indagare la sua storia, la produzione, il paesaggio. Tutto questo va poi “distillato” (metafora quanto mai adatta!) e trasformato in linee, colori, forme..». Il territorio: è questa la parola chiave, non solo per chi si occupa soprattutto di clienti di importanti dimensioni come SGA, ma anche per uno studio dedicato in massima parte alle piccole start-up come il bresciano DDue. Il titolare Daniele Bresciani, infatti, racconta: «Di questi tempi c’è stato un grande ritorno alla terra e al territorio, si sono investiti capitali nell’agricoltura, e il vino, insieme all’olio, costituisce da questo punto di vista un prodotto ad alto potenziale. Non solo: se prima le piccole cantine producevano conto terzi, ora commercializzano in proprio, valorizzano le peculiarità, cercano un’identità da comunicare e una nicchia di mercato da occupare. C’è una grande spinta verso la creazione di cose nuove, sia come ricerca di vini sempre più sofisticati (non nel senso di adulterati!), sia soprattutto come studio sull’immagine. Perché in fondo, il prodotto è quello, bene o male, da centinaia, migliaia di anni!». E allora nuovamente chi si fa carico della comunicazione deve partire dallo studio del territorio, della cantina, della famiglia. È una sfida difficile. Come vincerla? «L’unica via» risponde Bresciani «è rifarsi ai valori dell’azienda: da lì parte tutto il lavoro di ricerca per individuare gli specifici attributi del brand, che diventano segni grafici.» Si tratta senza dubbio di un grande investimento di energie e tempo, che però è imprescindibile per ottenere alla fine un risultato soddisfacente, capace di emergere in mezzo a una concorrenza sterminata e spietata.
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Al centro… l’etichetta
Già, l’etichetta. Rimane ancora lei la regina della comunicazione del vino. Anche il produttore più piccolo e magari disattento chiede al suo grafico di progettargli “una bella etichetta”, perché lo sa: se in un’enoteca ciò che può influenzare la scelta del cliente è ancora il consiglio del venditore, nella GDO - canale di distribuzione sempre più importante - la lotta tra bottiglie affini per tipologia di prodotto e posizionamento di prezzo è condotta tutta ‘a suon di etichette’. Non si lesina sulle lavorazioni e le nobilitazioni, rimanendo per lo più nel campo del già collaudato: stampa a caldo e rilievo a secco la fanno da padroni, così come sempre più diffuso è l’uso di inchiostri UV e della stampa serigrafica, che trasmettono un chiaro senso di qualità del prodotto.
L’etichetta veicola un messaggio fondamentale, forse il 90% degli acquisti avviene proprio in base all’etichetta: quindi è importante che si faccia notare. Come? Bisogna sempre rinnovarsi, sempre fare ricerca.» Concordano Sara Mutti e Giacomo Bersanetti: «Noi lavoriamo a strettissimo contatto con i nostri fornitori, con chi stampa e nobilita le etichette e tutto ciò che creiamo: le nostre necessità progettuali non di rado li stimolano verso sfide innovative, alla scoperta di potenzialità tecniche inedite. È una sinergia continua tra diverse professionalità che alla fine produce sviluppo e know how: un esempio? Nel 1985 abbiamo avuto per primi l’idea di serigrafare una bottiglia di vino. Era una tecnica già ben nota, usata però solo nel comparto farmaceutico, e ci siamo detti: perché non sfruttarne il grande potenziale estetico? Ormai è una cosa usuale, il che ha portato allo sviluppo di nuovi inchiostri, materiali, ritrovati tecnici. E, cosa non indifferente, a un abbassamento dei costi, che è sempre frutto della ricerca tecnologica».
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Tendenze: il lettering
Qualche tendenza nella grafica? Non c’è solo l’onnipresente oro a caldo per caratterizzare una bella etichetta. Come in tanti altri settori, anche in questo il lettering sta esplorando nuove frontiere comunicative ed espressive. Così, se da un lato vini di pregio scelgono font calligrafici che subito suggeriscono un senso di estrema eleganza, dall’altro sono sempre più usati caratteri maiuscoli. Un caso emblematico ce lo raccontano ancora in SGA, ed è quello delle etichette studiate per le barbere La Monella e Bricco dell’Uccellone della cantina Braida, nell’astigiano: «Giacomo Bologna, il produttore, voleva un’etichetta che esprimesse il carattere dei suoi vini, vivaci, frizzanti, in particolar modo La Monella (lo dice il nome…). Così abbiamo pensato di giocare con il lettering, di farlo “saltellare” pur mantenendo rigore e pulizia di linee, alternando corsivi e tondi in corpi diversi e scegliendo un colore insolito. Si è creata così una sorta di “onomatopea visiva” che dà tutta l’importanza necessaria al nome senza perdere nulla in suggestione: basta guardare l’etichetta per iniziare ad assaporare tutto il brio di questo vino ribelle ed esuberante». Le etichette per La Monella e Bricco dell’Uccellone sono state le prime studiate da Bersanetti insieme a Chiara Veronelli, e tutt’ora mantengono intatto il loro spirito innovativo: è un altro carattere, quello della lunga durata, che bisogna tenere presente nello studiare la grafica che accompagna un vino: non è come nella moda, settore in cui ogni sei mesi si ridisegna una collezione, o come nell’high-tech e in tanti altri rami dove ci si rinnova di continuo. Il packaging di un vino diventa parte stessa della sua identità, non va quindi progettato sottostando a mode del momento, ma è sempre necessario saper guardare più a fondo. Ancora una volta, rifarsi a quei valori stabili e duraturi che ne sono alla base.
Braida: Packaging originale
Mercato estero
«In questi ultimissimi anni c’è stato un notevole allargamento di orizzonti» raccontano Sara Mutti e Giacomo Bersanetti, «soprattutto in direzione degli Stati Uniti, del Canada, dei Paesi nordeuropei e dell’Estremo Oriente. Anzi, è stata propria l’apertura all’estero che ha permesso alle aziende italiane, rivelatesi molto dinamiche, di sopravvivere, e bene, a questi anni di crisi». E per questo tipo di mercati non basta, come dicevamo, ‘tradurre’ un’etichetta e adattarsi a una normativa differente. Bisogna fare uno studio attento del mercato locale: «Fondamentale è la sinergia con il distributore locale» sostengono Mutti e Bersanetti. «In genere si tratta di mercati più semplici» afferma Bresciani «che non hanno il background di conoscenza quasi innata del vino che c’è in Italia o in Francia, amano i prodotti “facili” (come il pur ottimo prosecco, che infatti ha un grande successo all’estero); per questo serve soprattutto chiarezza nella comunicazione e un continuo aggiornamento sulle tendenze locali».
Comunicazione multicanale
Non c’è comunque solo l’etichetta, o anche il packaging. Oggi le aziende devono studiare un piano di comunicazione globale. «Internet è uno strumento imprescindibile» sostiene Tobanelli, «sia per le potenzialità dell’e-commerce, sia per la comunicazione.» «Il profilo dell’azienda, al giorno d’oggi, non può che essere digitale» gli fa eco Bresciani, «suddiviso tra un sito istituzionale e i social. Il primo è il contenitore per eccellenza, che va però concepito in un’ottica aggiornata: i siti di nuova generazione infatti sono versatili, consentono un livello multiplo di fruizione a seconda della predisposizione interattiva di chi lo visita: si possono semplicemente sfogliare delle immagini, oppure soffermarsi a leggere approfonditamente la scheda di un vino, si può utilizzarlo per entrare in contatto con il produttore… Va arricchito con immagini emozionanti, filmati, infografiche… tutto ciò che può creare l’esperienza. I social invece consentono di selezionare il target, di preparare piani promozionali personalizzati, però l’importante è seguirli costantemente, aggiornarli, interagire con gli utenti: una pagina facebook abbandonata a se stessa è la peggiore vetrina per un’azienda!» Il trend di questi anni è chiaro: l’attenzione si va spostando sempre più dal prodotto al “contorno”, è il contesto che diventa fondamentale. Il marchio del vino va legato a tutto ciò che lo accompagna, o lo potrebbe accompagnare, «dallo shopper alla maglietta» chiosa Bresciani. Ma soprattutto il vino dovrebbe diventare il cuore di un sistema di accoglienza globale: un marketing intelligente dovrebbe percorrere la strada del turismo enogastronomico, le cantine dovrebbero lavorare in sinergia con gli enti turistici, gli operatori alberghieri e i ristoratori, le istituzioni culturali. «Fare sistema: è questa la via. Lo scopo deve essere quello di offrire al cliente un’esperienza totale di piacere e di emozione» conclude Bresciani. Perché alla fine è questo ciò cui tutti noi tendiamo: una vita piacevole ed emozionante.
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