2013 - Unico People & Style: Vino e design
Si può bere un’etichetta? Ci si può innamorare della forma sinuosa di una bottiglia?
Può una confezione curata nei dettagli influenzare il palato? Comunque si risponda, una cosa è certa: “vino e design” è un binomio affascinante, quanto scivoloso. Affascinante, perché è innegabile. Negli ultimi anni, anche le cantine più polverose hanno rinfrescato la loro immagine, anche i produttori più restii si sono impegnati a costruire una strategia di comunicazione in grado di gareggiare alla pari con una concorrenza sempre più forte, sia casalinga sia soprattutto in arrivo dai competitor stranieri. Scivoloso, perché è altrettanto innegabile. Il contenitore non sarà mai il contenuto e se al museo vi capita di soffermarvi più sulla cornice che sul quadro, vi state perdendo senza dubbio qualcosa.
Prese le giuste misure, si può iniziare a esplorare questo binomio chiedendo aiuto a uno dei massimi esperti in materia: il grafico Giacomo Bersanetti che, con il suo studio SGA di Bergamo, ha vestito centinaia di bottiglie, contribuendo al successo di nomi come Gaja, Braida, Enrico Serafino e Villa Sparina. “Il design - dice Bersanetti - mira a conciliare aspetti tecnici, funzionali, economici degli oggetti prodotti in serie, che nel mondo vinicolo si arricchiscono anche di contenuti simbolici, emozionali e culturali. L’etichetta rimane protagonista, ma non c’è elemento che possa essere trascurato; infatti, il risultato più efficace si raggiunge con la progettazione di tutti gli elementi coinvolti, in particolare con il design della bottiglia. Il tema è delicato, perché la forma del contenitore può influire sull’evoluzione del vino stesso, deve rispondere a esigenze funzionali diverse. Inoltre, deve comunicare una personalità distintiva, valorizzare il prodotto senza prevaricarlo e integrarsi con gli altri elementi della vestizione.”
Dunque, l’etichetta è la prima protagonista. Lo sa bene un personaggio come Cesare Baroni Urbani, zoologo marchigiano in pensione che ha speso buona parte del suo tempo libero a collezionare etichette di vino da tutto il mondo. Ne ha raccolte quasi 300.000 e recentemente le ha donate al Comune di Barolo, con il vincolo di creare un fondo al Museo del Vino allestito nel castello. Scorrendo la sua straordinaria collezione, si leggono stili e tendenze, si scoprono curiosità e ricercatezze. C’è l’etichetta dello Champagne Veuve Clicquot, quando la “vedova” non era ancora tale e sulle bottiglie campeggiava il nome dello sconosciuto marito Eugene.
C’è la serie completa, dal 1945 a oggi, delle celebri etichette d’autore fatte realizzare dal Barone de Rothschild per festeggiare la fine della guerra, coinvolgendo artisti come Picasso, Chagall, Mirò ed Andy Warhol. Un’altra serie originale è quella che ogni anno, dal 1985, la californiana Nova Wines dedica alla bionda più famosa del cinema con il titolo “Marilyn Merlot”. “I Paesi produttori del nuovo mondo - spiega Bersanetti - hanno uno spessore storico e culturale completamente diverso dal nostro; ciò si riflette non solo sul modo di vestire il vino, ma anche di pensarlo, produrlo e proporlo. L’avvio della produzione vinicola, a parte casi molto rari, è recente in questi Paesi, per cui riscontro nei packaging molta freschezza ma, nonostante l’elevato grado di sperimentalità, noto anche una relativa uniformità: di conseguenza, non è facile stabilire se un vino proviene dal Sudafrica, dal Cile o dalla Nuova Zelanda.”
Ma quali sono le nuove tendenze nelle etichette, nel packaging e nel formato delle bottiglie stesse? “Sono in declino i virtuosismi grafici e la ridondanza estetica, in favore di maggiore pulizia e chiarezza.
Lo spazio libero - continua Bersanetti - trasmette autenticità ed eleganza e permette di apprezzare il valore di una carta pregiata, come la ricchezza di un dettaglio nobilitato da una lavorazione speciale. L’etichetta tende a tornare verso le forme primarie, allontanandosi dalle silhouette di fantasia. Parlando di bottiglie, le forme archetipiche, borgognotta e bordolese, negli anni si sono evolute raggiungendo sintesi di eleganza e praticità.” Il maggiore rispetto verso l’ambiente e l’attenzione per la sostenibilità produttiva, hanno poi creato un generale orientamento verso la riduzione del peso del vetro e una serie di riflessi positivi. “Oggi – afferma ancora il noto designer - le soluzioni più interessanti sono quelle capaci di creare sinergie e coerenza comunicativa su più livelli, grazie all’integrazione di linguaggi diversi: dall’architettura della cantina alla vestizione dei prodotti, dal disegno della bottiglia al sito web e ai social media; dal secondary pack alla creazione di eventi. Ciò che noi chiamiamo global design, il risultato di un lavoro sempre più interdisciplinare”.
Un buon esempio è quello realizzato a Barolo da Gianluca Viberti, produttore che nel 2010 ha deciso di lasciare l’azienda di famiglia per iniziare un’avventura tutta sua. “Mi sono trovato davanti a una pagina bianca, con l’esigenza di costruirmi un’identità e di renderla riconoscibile - racconta Viberti - Non è stato facile, ma ho potuto dare libero sfogo alla creatività, non dovendo ripiegare su un semplice lavoro di restyling”. È così nato il progetto di Casina Bric 460, che ha ottenuto anche un premio per il packaging al Top Application Award di Milano. “A partire dal nome, che richiama in dialetto la località dove si trova la mia cantina e l’altimetria media dei vigneti, ho cercato un marchio originale, intuitivo e in grado di comunicare qualcosa”. La linea grafica è moderna, il packaging è curatissimo, dall’etichetta alle confezioni fino alle bottiglie, per le quali Viberti è andato a rispolverare le forme basse e tozze della “poirinotta”, una bottiglia in voga a fine del XVIII secolo. Il contenitore è all’avanguardia, ma il contenuto è saldamente legato alla tradizione. “Abbiamo giocato sul contrasto: chi vede le mie bottiglie, pensa a un vino moderno, internazionale. Invece, scopre un Barolo classico, realizzato in vasche di cemento e grandi botti di legno. Sono convinto che la cura del dettaglio sia la strada giusta, soprattutto se si vogliono portare i propri vini anche all’estero.”
La pensa così anche un’altra rinomata cantina di Barolo, come Damilano. Un’azienda che, pur essendo legata alla tradizione e alla sua lunga storia, sa anche essere molto dinamica e attenta al rinnovamento. Dal re Cannubi all’alfiere Cerequio, dalla torre Liste al cavallo Brunate, tutti gli storici cru di Barolo di Damilano trovano in etichetta una propria collocazione e un’identità all’interno della scacchiera della vocazione territoriale e dei gusti dei consumatori. E il restyling non si è fermato solo al prodotto, ma ha coinvolto anche la cantina grazie a un importante intervento di ristrutturazione.
Gli errori da non fare? “Destinare risorse a progetti non ben mirati e poco coerenti con le linee costitutive dell’identità aziendale, della comunicazione e delle attività di marketing – risponde ancora Bersanetti, – così come cercare scorciatoie ricalcando idee altrui.”
Anche con vino e design, meglio diffidare delle imitazioni.
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