Capital: Di-vino elogio dell’etichetta
Per fare un’etichetta «bisogna innanzitutto conoscere il vino. Giacomo Bologna di Braida ci portava casse di bottiglie del vino che avremmo poi dovuto vestire e ci chiedeva di assaggiarlo, conoscerlo e solo dopo andare a caccia dell’ispirazione». L’aneddoto risale a 30 anni fa e a raccontarlo è Giacomo Bersanetti, titolare, insieme con la moglie Chiara Veronelli e con Francesco Voltolina, di Sga Corporate & packaging design, società specializzata nello sviluppo di progetti, che da oltre 25 anni collabora con le maggiori aziende del settore vitivinicolo. Seguendo anche la realizzazione della marca, l’immagine, il packaging, la creazione di nomi di azienda, linee e prodotto, pubblicità, editoria, web design; progettazione di materiali promozionali, contenitori e stand. Insomma, di tutto quello che ha a che fare con la presentazione e promozione del nettare di Bacco.
Ma non solo. Sga opera anche nel mondo dell’olio (Confraternita di San Lorenzo, Seggio Fiorito) e dei distillati (Grappa Bocchino, le grappe di Gaja, Gibò, Zedda Piras, Rau, Distillerie Franciacorta).
I tre soci si sono conosciuti ai tempi della scuola, all’Accademia di Brera di Milano. «Il modo in cui abbiamo sempre operato è conseguenza della formazione ricevuta, che non nasce dal marketing, al quale arriviamo successivamente, ma dalla sensibilità e dalla ricerca artistica. Nella nostra formazione hanno influito artisti, designer e storici dell’arte», prosegue Bersanetti. «Tra i tanti, Alik Cavaliere, Roberto Sambonet, ma anche Silvio Coppola e Pier Carlo Santini». Le prime esperienze di Giacomo e Francesco sono di quelle che lasciano il segno: in Unimark International di Bob Noorda seguono l’immagine coordinata di Agip (oggi Eni) e delle Collane Feltrinelli. Poi ecco Sga, che Giacomo e Chiara fondano nel 1983, mentre Francesco, dopo numerose collaborazioni con loro, entra a pieno titolo in società nel 1997. Il resto è storia di oggi. «Abbiamo progetti che quest’anno compiono trent’anni. La maggior parte continua a vivere nel tempo. Etichette che sono efficaci e moderne ancora oggi, che non invecchiano mai», racconta Chiara.
«Crediamo che ogni dettaglio sia essenziale. Il lettering, per esempio: infatti spesso disegniamo i caratteri a mano. Come abbiamo fatto per il logo del Millepassi (Azienda Donna Olimpia 1897, a Bolgheri, di Guido Folonari)». Anche il naming è uno dei cavalli di battaglia della società: il nome deve produrre evocazioni e suggestioni, deve essere accattivante, avere suoni piacevoli ed essere facile da memorizzare e da pronunciare anche all’estero, essere accolto e assimilato rapidamente. A che cosa si punta quando si veste una bottiglia? «A far anticipare, già dal primo sguardo, l’incontro col vino. L’etichetta deve creare interesse, evocazione», spiega Voltolina. «Quando si coglie nel segno, trasmette l’appartenenza a una categoria, a un territorio, a un livello di prezzo». Questa esigenza è di ancor maggiore importanza per i prodotti venduti attraverso la grande distribuzione, dove il compratore sceglie senza il consiglio di nessuno. E prosegue: «Chi si trova di fronte allo scaffale dei vini si fa condizionare dall’etichetta. A parità di qualità e conoscenza, si è spinti a scegliere il prodotto che soddisfa di più dal punto di vista estetico. Fondamentale è anche l’aspetto della memoria legata al gusto. A ciò neppure un grande conoscitore di vini riesce a sottrarsi». A differenza di altre categorie di prodotti, il vino abita la tavola, sia a casa che al ristorante (un pacco di pasta rimane in cucina), e quindi l’aspetto estetico è imprescindibile. Per il consumatore da supermercato «sono determinanti anche i colori», puntualizza Sara Mutti, che in Sga si occupa dei contatti con le aziende e della comunicazione. «Attribuire determinate cromie aiuta il consumatore a immaginare il sapore e il gusto. Per esempio, a un Satèn (nome inventato da Sga per Bellavista, adottato poi da Ca’ del Bosco, Monterossa e Cavalleri come produttori pilota; oggi utilizzato da tutto il Consorzio per la tutela del Franciacorta), dove il gusto è più morbido, si attribuiscono colori tenui e setosi».
Per riuscire a trovare il vestito giusto per ogni vino è importante attingere alla cultura locale in termini propositivi, con un orientamento verso il futuro, ma conoscendo la storia e le tradizioni dei produttori. «Le farfalle che compaiono su un’etichetta di un vino di Braida, altro non sono che la forma stilizzata delle labbra di Giacomo Bologna. Rappresentano il suo sorriso quando, completato il ciclo della vinificazione, arrivava il momento di imbottigliare e affidare il vino al mercato. E lui aggiungeva in dialetto: “Ai Suma” (ci siamo). Da qui anche il nome del vino», racconta Bersanetti. E i ricordi si rincorrono. «Per Mariuccia Borio della Cascina Castlet, che voleva fare recepire la Barbera come un vino fresco, coinvolgente, adatto a un pubblico giovane e per il consumo di tutti i giorni, trovammo negli archivi storici dell’azienda una foto di quattro bambini sulla Vespa del papà della titolare. Da qui, con un certo senso di provocazione e ironia, nacque un’etichetta scanzonata e divertente, che in una sorta di marketing inconsapevole ha portato da quel giorno alcuni fan club Vespa a riunirsi in cantina». E per i 150 anni della fondazione di Bertani «abbiamo vestito un Amarone con un bagno di cera d’api (dalla capsula al corpo della bottiglia). Per la famiglia Moretti (Bellavista) abbiamo messo il sigillo di ceralacca a una serie di bottiglie fatte per amici e appassionati. Per gli ottant’anni di Franco Ziliani (Berlucchi) abbiamo studiato una confezione a tiratura limitata. Con Passum (della Cascina Castlet) abbiamo osato serigrafare l’etichetta in anni in cui questa tecnica era utilizzata solo per le bibite».
Una delle recenti operazioni condotte da Sga è stata studiata per la linea dei vini classici di Alois Lageder, produttore altoatesino appassionato d’arte contemporanea (sotto la sua presidenza, nel 2000, Museion, a Bolzano, fu trasformato in Museo d’Arte moderna e contemporanea). Sono stati coinvolti dieci artisti italiani che, dopo avere conosciuto la realtà aziendale, hanno prodotto liberamente alcuni lavori: cinque sono oggi etichette.
In questo caso l’arte ha svelato a tutti, anche grazie a un catalogo curato dal critico d’arte Marco Senaldi, la filosofia aziendale e la visione olistica di Lageder, che si basa sul processo biodinamico per la cura delle viti e la creazione di una cantina moderna, dove il rispetto per l’ambiente è al primo posto insieme con ecosostenibilità e naturalità dei prodotti. Le prossime tappe di Sga? «Puntiamo sull’innovazione che oggi passa attraverso il rispetto per l’ambiente», questo è uno dei capisaldi di Bersanetti. «Puntiamo alla riduzione dell’impatto ambientale in fase produttiva, all’ottimizzazione delle procedure, usando materiali interamente riciclabili, riducendo il peso della bottiglia. E cerchiamo di non mischiare mai gli elementi per renderli poi riutilizzabili». La firma Sga sull’etichetta? «Mai», conclude Bersanetti. «Nell’etichetta si mette solo lo stretto indispensabile.
Tutto il resto è disturbo».