2013 - Artlab: Etichette e colore
L’uso particolarmente intenso del colore nelle etichette dei superalcolici è un fenomeno recente ma con radici profonde: dagli inizi del secolo scorso Johnnie Walker con il suo whisky ha imposto il rosso come elemento di identità.
Nel tempo anche i produttori di vino hanno utilizzato il colore per migliorare la loro riconoscibilità. Anche qui la brandizzazione del colore ha origini consolidate: il giallo di Veuve Clicquot o la banda rossa di Mumm sono parte integrante della riconoscibilità del marchio. Le scelte cromatiche devono però essere anche in sintonia con la personalità del vino, soprattutto per il loro valore sinestesico, cioè per la relazione tra colore e sensazioni gustative evocate: come l’argento/platino che nel caso di un Franciacorta è abbinato al Satèn.
Nella visione di Francesco Voltolina dello studio SGA di Bergamo, il colore è diventato elemento di attenzione per l’identità di marca e il posizionamento del prodotto. Un esempio viene dalla linea Cà Marcanda di Gaja, che ha scelto una grafica minimalista dove il colore è il valore segnaletico che differenzia le tipologie.
Al diffondersi dell’uso del colore sulle etichette contribuisce l’evoluzione delle carte, dei sistemi di stampa e degli inchiostri. I colori perlescenti, l’opacità delle tinte serigrafiche, la gamma dei colori metallici aiutano ad affinare il messaggio e conferiscono personalità anche alle etichette più tradizionali.
È sintomatico tuttavia che, al contrario di quanto avviene in Italia, legata a un certo tipo di classicità tradizionale che influenza il linguaggio grafico e comunicativo, le etichette dei vini esteri, in particolare australiani, sudafricani o californiani, prediligano tinte piene applicate su ampie superfici, immagini stilizzate o illustrazioni elaborate e pattern iperdecorativi. Si tratta di bottiglie su cui la cultura del graphic design si impone rispetto a quella vitivinicola. La tenzone è ancora in corso…