16 / 10 / 2012

2012 - La Stampa: Anticipa il piacere e ne conserva la memoria

4 domande a Giacomo Bersanetti designer

Giacomo

Oltre a realizzarle, lei colleziona etichette?
«No, non l’ho mai fatto. Maconosco la passione che anima questo genere di collezionisti. Conservare le etichette valorizza la loro funzione, alimenta la memoria delle bottiglie bevute, ma anche dei luoghi, le persone, i cibi che hanno accompagnato quei momenti. E una collezione di 282 mila pezzi ha un valore storico e culturale altissimo».

Qual è la sua definizione di etichetta?
«L’etichetta è il racconto del vino, è un’anticipazione visiva di quanto andremo a conoscere attraverso altri sensi. Se c’è sintonia, i colori, le forme, i segni che vestono la bottiglia possono produrre sinestesie, ovvero relazioni con il vino che si berrà».

Come si è evoluto il modo di vestire le bottiglie?
«Le prime etichette erano oggetti molto semplici: riportavano solo il nome del vitigno e l’annata veniva applicata a mano: attaccarle costava. Poi, a metà Ottocento, sono comparsi i primi simboli araldici delle famiglie e i primi stili: i francesi riproducevano i propri chateaux, i tedeschi abbondavano di decorazioni, gli italiani riportavano le medaglie vinte ai concorsi internazionali.
Nel primo 900 è arrivata la fase degli artisti, mentre il design dagli Anni 70 ha portato molta innovazione».

E oggi?
«L’attenzione si è estesa a tutti i produttori. Il design italiano ha uno stile inconfondibile, fatto di eleganza, chiarezza e riconducibilità ai valori dell’azienda.
Scimmiottare stili che arrivano dall’estero è un errore, come voler essere originali a tutti i costi».
Roberto Fiori

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