2008 - Enografie: il design dei percorsi narrativi
di Giovanni Baule
Politecnico di Milano
Tra il processo di progettazione di design e i processi di produzione in campo enologico ci sono forme del percorso che si propongono come simili tra loro. Sono percorsi che sono anche ‘storie’: percorsi che racchiudono narrazioni. E confermano, a uno sguardo ravvicinato, l’esistenza di consonanze, di contiguità ben visibili tra il design - la nascita di un segno grafico o la genesi di una forma - e i cicli e le fasi della lavorazione vinicola. Quando un intreccio di culture e di sensibilità, di metodi e di approcci come questo si sviluppa su uno stesso terreno, quando un ‘tema’ coincide nel profondo, si supera il campo delle analogie di superficie e si aprono tracciati complessi, imprevedibili. Questa vicinanza di percorsi permette al design di costruire segni e forme in grado di comunicare il ‘prodotto vino’ evocandone l’essenza, evitando di sovrapporre maschere identitarie precostituite. Sono queste le enografie.
ENOGRAFIE. IL DESIGN RACCONTA I VINI DEL PIEMONTE. from SGA corporate & packaging design on Vimeo.
Le enografie mettono in primo piano la comunicazione come distillato, come sintesi di tutto un processo nascosto che sta alle spalle e che produce il senso finale. Queste enografie, dove il metodo della progettazione confina con il contenuto comunicato, generano veri e propri prototipi comunicativi: su di essi conviene riflettere perché trattengono in sé una formula di grande interesse. Se si prova a ripercorrere questi itinerari, si apre uno squarcio su un nuovo corso dell’immagine di prodotto e della sua progettazione: un approccio che pur mantenendo, ed esaltando, l’efficacia comunicativa dell’artefatto finale, utilizza modi propri del design della comunicazione lontani dagli schemi convenzionali della comunicazione di prodotto, lontani da quei progetti d’identità dei beni di consumo che percorrono in modo esclusivo le strade, ormai esauste ma ancora frequentatissime, della comunicazione marketing oriented. È, quest’ultima, una via univocamente finalizzata al target, che relega in secondo piano la missione di scoprire e illustrare l’essenza di un prodotto: una via tutta tesa a reiterare il potere della brand, e che rincorre le aspettative indotte degli utenti della comunicazione, assillata da un’ansia di massima affabilità, costretta solo a esercitare all’infinito tutte le declinazioni degli appelli fàtici.
La ricaduta sul piano progettuale delle logiche marketing oriented, che cercano nella vestizione grafica e nella costruzione formale dell’involucro tutte le garanzie di una grammatica consolidata fatta di ingredienti canonici e stereotipati, all’interno di un campionario di formule convenzionali, finisce per annullare qualsiasi mutamento dell’orizzonte di attesa (quello che i consumatori ci chiedono): fa inclinare verso il basso il piano di quel ‘patto comunicativo’ che lega messaggi e utenti, innescando un cortocircuito comunicativo. Ma ridurre il ventaglio della sperimentazione dei linguaggi comunicativi, dell’innovazione delle grammatiche significa perpetuare quella progettazione reticente che deprime il rapporto con i destinatari della comunicazione e sancisce il paradosso di una comunicazione ‘muta’, incapace di dire. Mentre l’applicazione di alcune regole sperimentate ma anche il trattamento e il ribaltamento delle tipologie codificate, l’utilizzo di espedienti per la riconoscibilità del prodotto ma anche lo slittamento dalle consuetudini aprono uno spazio di progettazione che si offre al designer che voglia operare oltre la filiera del ‘già visto’.
Molti sono i riferimenti che, da sempre, collegano l’atto della scrittura, della messa in pagina (dunque del design grafico), della lettura, al mondo della viticoltura e della vinificazione. Rifacendosi alla tradizione monastica, tipica nel saper fondere assieme i sapori e gli odori della natura e della scrittura, della grafica manoscritta e delle arti vinicole, Ivan Illich nel suo ‘Nella vigna del testo’, tutto dedicato a questo doppio percorso, descrive così il momento della lettura: “Quando legge, Ugo di San Vittore fa un raccolto: raccoglie i chicchi dalle righe. Egli sa che la parola ‘pagina’ può riferirsi a dei filari di viti uniti assieme. Le righe della pagina sono i vimini di un graticcio che sostiene le viti… Il latino ‘legere’ deriva da un’attività fisica: legere connota ‘raccogliere’, ‘fare un fascio’, ‘ammassare’... I dispositivi di ordinamento della pagina, l’impaginazione che è alla base dell’organizzazione grafica delle informazioni, fa parte di un insieme visivo che contribuisce a determinare l’intelligenza del lettore…”. È il grafico-amanuense che coltiva la vigna del testo ed è il lettore che a sua volta raccoglie e lega insieme i materiali della scrittura. Il rapporto tra viticoltura e grafica è ancora sancito, nominalmente e visivamente, da quelle piccole illustrazioni che in apertura di libro o di capitolo già nelle copie degli amanuensi ornavano gli incipit con fregi a forma di foglia o di tralci di vite: tralci e viticci intrecciati alludevano al testo come textura e, come riquadri di figure ornamentali, costituivano quelle che ancora oggi chiamiamo ‘vignette’. Questa matrice profonda che il design grafico coltiva è la logica che dà vita a ogni progetto editoriale, alla grafica dei testi dove di continuo si intessono insieme parole, righe, colonne, immagini, fino a comporre un insieme comunicativo (la pagina). Questo carattere originario della progettazione grafica è tutto presente nelle nostre enografie: è un metodo di lavorazione, quello del design, che opera sui contenuti, seleziona e coglie le parti significative e le rielabora fino a distillarne l’essenza per riproporla nelle forme di un marchio, o di una copertina, di un’illustrazione, di una vestizione, di un involucro che sono tutti concentrato visivo di un ‘testo’, o di un ‘contenuto’. Il risultato di questo lavoro ‘paratestuale’ - attorno al testo - è una sintesi evocativa, un insieme di segni ricco di storie, memoria di un processo di riduzione di cui conserva gli elementi di origine. Questo tipo di design grafico, fin dall’inizio, procede con un forte impulso modellizzante: propone al progettista un modello stereoscopico, un metodo che opera contemporaneamente su diversi piani comunicativi di riferimento e su diversi livelli di complessità. Il progetto deve poter tenere insieme tanti elementi diversi tra loro (tecniche, linguaggi, stili espressivi, legami semantici…) e disegna così il carattere di una moderna retorica comunicativa.
Enografia è la scelta di una morfologia narrativa e delle sue possibili sperimentazioni, l’opzione in favore di racconti che partono dalle tracce del territorio e dalle suggestioni che circondano i luoghi. Queste tracce vengono rilevate come impronte, e, trasferite in segni, vengono trascritte in forma di alfabeti. Divengono alfabeti ripetibili. A partire da un fulcro narrativo, si genera un linguaggio visivo che il progetto di design articola e declina. Il montaggio narrativo, dotato di una propria complessità, si traduce in un finale allestimento 11 scenico, dove l’involucro e la sua vestizione sono un tutt’uno. E ci sono territori e paesaggi che più di altri, forse per il clima e la particolare esposizione, inducono alla produzione di segni; come in una mappa di continue connessioni, i segni a loro volta rimandano ai territori da cui hanno preso origine, dove l’intreccio dei percorsi visivi, olfattivi, tattili si è ordinato in filari di percorsi narrativi. Il profilo di un paesaggio, uno scorcio tra le coltivazioni, la superficie di una pietra, la luce della luna, un reperto d’epoca, un antico sigillo, una testimonianza di memorie sono tanti microcosmi che, tramite alchimie di luce e di colore, e il filtro dello sguardo, e il trattamento dei linguaggi generano segni di terra; diventano, tramite un’accurata lavorazione, ‘materia’ narrativa. Nell’ambito del progetto di comunicazione, siamo qui all’esatto opposto di quelle mitografie bucoliche che, ormai moltiplicate a dismisura e clonate di seconda mano a partire dai primi ‘mulini bianchi’, affollano un paesaggio virtuale edificato senza scrupoli, inquinatissimo sul piano della credibilità comunicativa, asservito più alla logica della declamazione che a quella della narrazione. Sono mitografie che usano impropriamente il paesaggio come location e, sulle due dimensioni delle etichette di prodotto, costruiscono scenari da fiction non dissimili dai castelli in plastica delle Disneyland o ai borghi artificiali degli outlet. Con queste enografie, invece, si costituisce un particolare sistema narrativo, un doppio racconto che mantiene un legame felice, una memoria delle suggestioni del territorio e che procede in parallelo con la storia del prodotto, con alcuni suoi caratteri, condividendone il percorso e la fisionomia: anche nel proprio processo di produzione il vino porta a sintesi la luce dei suoi poggi, il colore delle sue terre, l’asprezza dei suoi pendii, l’ombra delle sue cantine; ed è anch’esso l’essenza, il concentrato di un processo narrativo… Il legame ‘materico’ di linguaggi e territorio crea una sequenza di concatenazioni che è alla base della struttura narrativa di queste enografie: racconti di segni e mille continui indizi rimandano all’esperienza dei luoghi e costituiscono veri e propri ancoraggi ai territori.
Sul piano dei linguaggi grafici si crea una tipologia compositiva assai vasta che dà un ruolo di rilievo ai segni di terra e alla matericità delle scritture; delle quali fanno parte anche segni enigmatici, veri e propri reperti di un’archeologia dei segni. Nasce un sistema iconografico aperto, dove l’aura evocativa cresce attraverso scritture in versi, calligrafismi, ritmi del gesto, costruzioni tipografiche. Anche il progetto di naming, la definizione del nome proprio del prodotto, s’intreccia con il metodo del progetto visivo: ci sono nomi che nascono da tracce sonore catturate sul posto, da echi storici, da reperti verbali e modi dialettali (il dialetto come lingua dei luoghi, appunto); parole ‘antiche’ originate da ‘topofonemi’ (suoni legati a un luogo), che, mediante esperimenti retorici diversi, convergono tutte verso un obiettivo narrativo, il ‘sapore evocativo’ del racconto. E, infine, la stessa forma degli involucri lavora sulle tipologie storiche dei vetri per il vino, generate dall’intelligenza artigiana per la materia: le riprende, le elabora, le ridisegna, le trasforma, le reinventa. 13 A differenza del puro utilizzo sull’etichetta di un’immagine ‘artistica’, nata altrove per altre occasioni espressive e affiancata per casuali assonanze, qui ‘immagine’ e ‘contenuto’ nascono assieme, vivono un percorso comune e si coniugano condividendo tracce e itinerari. Questi itinerari incrociati nella costruzione del prodotto e nella costruzione dell’identità di prodotto ci suggeriscono un metodo nel progetto della comunicazione dell’identità. Che non può essere puramente descrittivo, perché il linguaggio dell’evocazione non passa per scritture didascaliche. Che non può nascere altrove per essere importato e utilizzato all’occorrenza. Ma che deve avere radici comuni e saper correre sul piano dell’analogia con linguaggi e alfabeti propri, con consonanza e coerenze profonde. E che non può disgiungere forma e contenuto, ‘involucro’ e ‘vestizione’, ma operare nella logica del paratesto, del legame che avvolge contenuto e apparato comunicativo in un continuum narrativo. Il progetto delle enografie diventa allora una lezione di metodo, un paradigma comunicativo per tutto il design della comunicazione, una chiave utile per garantire una nuova qualità del patto comunicativo. Per questa progettazione che trova nei territori, nelle loro suggestioni e nei loro prodotti le tracce per i propri alfabeti e li sa riproporre tramite una lavorazione accorta e consapevole, potremmo parlare a pieno titolo di un design di origine controllata.
Giovanni Baule è professore ordinario di Disegno Industriale all’interno della Facoltà del Design presso il Politecnico di Milano, dove è Presidente del Corso di Laurea in Design della Comunicazione e Vicecoordinatore del Dottorato in Disegno Industriale e Comunicazione Multimediale.
Direttore, dal 1985, di Linea Grafica, bimestrale di grafica, comunicazione visiva e multimediale (XVII Premio Compasso d’Oro).
Si occupa di metodologia della comunicazione visiva, di progettazione e ricerca sui sistemi di editoria elettronica multimediale.
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