2006 - Trade Business
Vino in GDO: è il brand a fare la differenza
La notorietà dell’etichetta e la denominazione d’origine hanno una forte influenza sulle decisioni del consumatore. E sta al pack rappresentare i valori della marca e conquistare visibilità a scaffale.
La reperibilità a scaffale, un prezzo percepito come corretto rispetto alla qualità del prodotto, la notorietà dell’etichetta o del produttore, l’occasione di consumo. Sono i fattori che guidano il cliente finale nell’acquisto di una bottilgia di vino nella Gdo, come è emerso dal forum di Agivi, l’Associazione giovani imprenditori vinicoli italiani, che riuniti a Roma lo scorso febbraio insieme a rappresentanti di altri settori e a professionisti dell’immagine, si sono interrogati sulle dinamiche di acquisto e consumo nel comparto enologico, dibattendo su un tema di grande attualità come l’importanza del brand nella promozione e comunicazione del vino.
«Per il consumatore il brand è il primo punto d’incontro con un prodotto e diventa tanto più fondamentale nel caso del vino» afferma Marco Oldrati, responsabile gestione clienti dello studio grafico SGA. «Il packaging e l’etichetta, quindi, devono rappresentare visivamente i valori della marca e l’identità del prodotto, dal momento che il consumatore prima degusta l’etichetta, poi il brand, infine il vino».
Anche Patrizia De Luca, docente di marketing presso il Mib School of management di Trieste è tra gli autori di uno studio sul packaging del vino e la sua percezione, sottolinea la rilevanza della veste nell’acquisto. «Il tempo dedicato alla scelta di una bottiglia di vino in Gdo» spiega De Luca «è in media 18 secondi e spesso si basa sul packaging e sui messaggi che questo riesc a veicolare dallo scaffale. Se il consumatore si identifica con i valori trasmessi acquista, in caso contrario il prodotto resta sullo scaffale».
Dunque, creare un packaging coerente con ciò che il produttore intende comunicare e ciò che il cliente si aspetta è fondamentale. «Oggi» aggiunge De Luca «il consumatore è influenzato da molte più sollecitazioni rispetto a un tempo. Le informazioni reperibili su internet, le emoioni evocate dall’etichetta, personali esperienze di turismo enogastronomico nelle zone di produzione: un mix che rischia di creare confusione se manca un reale valore del brand garante della qualità del vino e del legame al territorio di provenienza».
Proprio quest’ultimo aspetto costituisce una particolrità del vino rispetto ad altri prodotti. «Il vino» osserva infatti Enrico Drei Donà, presidente di Agivi « vive di due brand: il nome dell’azienda produttrice e la denominazione cui appartiene (doc, docg, igt). Entrambi influenzano e stimolano il consumatore nel momento dell’acquisto. Nella Gdo ha spesso un peso maggiore la denominazione, nel canale tradizionale, invece, dove le fasce di prezzo sono più elevate, il brand aziendale. Il successo di una marca, dunque, passa attraverso la valorizzazione di ambedue gli aspetti, come dimostra l’esempio di Moltalcino. In questo caso, infatti, il cosumatore percepisce sia la qualità della denominazione che il valore del marchio delle aziende che operano nel distretto».
È proprio questa duplicità di brand che il packaging di un vino deve riuscire a trasmettere in modo immediato: soluzioni troppo moderne e innovative corrono il rischio di apparire false e ingannevoli, lontane dall’immagine del prodotto vino viva nella mente del consumatore. Così come packaging troppo sofisticati utilizzati per vini semplici possono suscitare aspettative poi disattese. Un esempio di come l’etichetta sia un elemento importante all’interno di un coerente progetto commerciale e di packaging viene fornito da SGA. «Di recente» racconta Oldrati «abbiamo curato per Fontanafredda, nome già molto apprezzato, l’immagine di una nuova linea dedicata espressamente al canale Horeca, i Tenimenti Fontanafredda, composta da vini di grande prestigio con un forte legame col territorio. Il nostro lavoro ha mirato, quindi, a proporre una veste elegante ed essenziale, in grado di esaltare l’identità distintiva del prodotto, evitando ogni possibile sovrapposizione con le referenze che l’azienda distribuisce in Gdo. Un altro esempio di come la creazione del packaging debba essere in sintonia con le esigenze di marketing è il restyling di Grappa Bocchino Sigillo Nero, con cui si è voluto rendere esplicito un nuovo modo di intendere la grappa, non più prodotto maschile e mass market ma distillato di prestigio, capace di incontrare una fascia di consumatori più ampia e variegata, per questo impreziosito con un’etichetta in rilievo».
Marketing e valore del prodotto si incontrano, dunque, nel packaging. Proprio come accade nel mondo della moda. «Quando si parla di prodotti di lusso» nota Manlio Cocchini, direttore generale del Gruppo Gilmar, che annovera tra i propri marchi di moda la nota griffe Iceberg «la logica di acquisto e paragonabile, sia che si tratti di un capo di moda che di un vino di qualità. Per i mercati di nicchia come questi, che non soddisfano un bisogno fisico ma rispondono a un’esigenza di gratificazione, presentazione e comunicazione non devono evocare un consumo ma uno stile di vita. In questo vino e moda sono sicuramente molto simile».